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Avviso sulla delocalizzazione

Avviso sulla Delocalizzazione

L’ISTITUTO ELVETICO DI GARANZIA S.A. viene fondato nel 2012 dall’esperienza dei suoi azionisti operanti da decenni nei settori della produzione, della consulenza internazionale e della finanza; l’ISTITUTO ELVETICO DI GARANZIA S.A. è stato costituito in Svizzera in quanto primaria piazza economica internazionale e centro nevralgico mondiale dell’attività finanziaria.

Essere un’entità svizzera peraltro permette di avere vantaggi giuridici, amministrativi, economici e tributari difficilmente ottenibili in altre nazioni.

Fin dalla costituzione l’ISTITUTO ELVETICO DI GARANZIA S.A. ha rivolto la propria attenzione alle piccole e medie imprese con forte vocazione internazionale e di elevata capacità tecnica e solvibilità, interessate ad ottenere consulenza professionale di elevata qualità per lo svolgimento delle proprie attività.

L’ISTITUTO ELVETICO DI GARANZIA S.A. è specializzato nel valutare la ragionevolezza di nuovi progetti industriali, commerciali, immobiliari ed edilizi posti in essere o da porre in essere dalla clientela; l’ISTITUTO ELVETICO DI GARANZIA S.A. svolge studi, ricerche, analisi in materia economica, statistica, commerciale, industriale ed immobiliare per conto della clientela richiedente la consulenza professionale di elevata qualità.

L’ISTITUTO ELVETICO DI GARANZIA S.A., nell'ambito della consulenza aziendale prestata alla clientela industriale, può assistere l'imprenditore interessato, insieme ad efficaci professionisti locali, ad operazioni anche complesse di delocalizzazione produttiva.

Se per delocalizzazione di un'impresa all'estero si intende lo spostamento in altri paesi di processi produttivi o di fasi di lavorazione, al fine di guadagnare competitività, l'esperienza delle imprese di spostare in altri Stati le proprie attività produttive di merci ha origini lontane: trenta e più anni fa la costruzione di stabilimenti della FIAT in Polonia e ancor prima nell'ex Unione Sovietica (Togliattigrad), nei quali venivano costruiti modelli di automobili usciti dalla produzione interna. Ancor oggi la Piaggio costruisce alcuni prodotti in India.

Gli esempi citati riguardano essenzialmente imprese di grandi dimensioni: ma la realtà economica è assai diversa. La maggior parte delle imprese manifatturiere ha meno di 50 addetti. Per questo diffuso tipo di microimprese, il processo di globalizzazione ha avuto rilievo essenzialmente come internazionalizzazione dei propri prodotti — spesso di nicchia — alla quale da tempo gli stati avevano posto attenzione sia con strutture all’uopo dedicate sia con strumenti di garanzia statale per i crediti all’esportazione.

L'economia classica collocava la produzione vicino alle materie prime ovvero vicino al mercato del consumo; attualmente l'ubicazione dei complessi produttivi segue altri impulsi: l'efficienza della logistica e dei trasporti, il peso fiscale, la quiete sindacale, e soprattutto, il costo del lavoro. 

Le delocalizzazioni delle imprese produttive (grandi, medie e in qualche caso medio-piccole, queste talvolta raggruppate in consorzi o in distretti produttivi a tassazione solidale) sono state prevalentemente del tipo Iow-cost seeking, fondato sulla ricerca della riduzione del costo della

manodopera e si sono addensate statisticamente in settori produttivi a non alto valore aggiunto, con una forte presenza nelle filiere dell'abbigliamento di qualità (tessili e calzature).

Oltre alla grande industria, quasi trent'anni fa ha iniziato a delocalizzare la piccola e media industria del settore pellami, calzature e stoffe di medio livello; quindici anni dopo, ma più massicciamente, la media industria che aveva già esperienze in loco di internazionalizzazione della produzione, col ricorso alla abbondante manodopera frontaliera degli stati confinanti.

Il bisogno era sempre quello di comprimere i costi, grazie allo spostamento all'estero della parte più manuale ed elementare delle fasi produttive.

Tenendo in disparte la quiete dei sindacati dei lavoratori, quanto al primo motivo di delocalizzazione, quello dato dal peso delle imposte sulle imprese, non possiamo non riferirci al continuo aumento della pressione fiscale complessiva sulle persone giuridiche, con effetti disastrosi sulle aziende labour intensive.

La ricerca dal minor costo del lavoro tout court è invece spinta non da alti livelli salariali dei lavoratori, ma dal costo complessivo del lavoro, gravato a carico dell'impresa per i contributi parafiscali, il cui importo garantisce l'alto livello del welfare in molti paesi europei (assistenza medica, farmaceutica e ospedaliera gratuita per tutti; assicurazione pubblica per gli infortuni sul lavoro; alte pensioni; molti giorni lavorativi di ferie all’anno). Sono queste le principali ragioni che hanno determinato lo spostamento delle fasi lavorative ad alta concentrazione di manodopera verso paesi con abbondanza di lavoratori non specializzati a basso costo iniziando da paesi non eccessivamente distanti dalla "casa madre" e verso i quali c'era già una delocalizzazione puramente commerciale in espansione.

Evidenziamo brevemente le formule giuridiche usate per realizzarlo; si va dalla semplice importazione di prodotti finiti realizzati all'estero su licenza ad un vero outsourcing realizzato ricorrendo a subfornitori stranieri; si hanno forme di partenariato, sia con reali partnership sia col franchising; rare sono le joint ventures e anche l'offshoring, ottenuto con l'acquisizione ex novo di imprese mediante investimenti durevoli all'estero, Ma il 90 per cento delle delocalizzazioni delle piccole e medie imprese è avvenuto con il sistema del TPF (Traffico di Perfezionamento Passivo), consistente nell'esportazione di materie prime o semilavorate, con garanzia di riacquisto e quindi di reimportazione del prodotto se la lavorazione è stata perfettamente eseguita. Questo tipo di traffici presuppone la neutralità doganale, con azzeramento dei dazi, come si è verificato con i paesi del Trattato del Magreb e con quelli dell'Europa Orientale, ancor prima che divenissero membri dell'Unione europea.

Concludendo, la delocalizzazione è un fenomeno economico legato al sistema delle attività produttive; con il termine delocalizzazione si intende la scelta di spostare un'attività economica da un luogo d'origine ad uno di destinazione, allo scopo di ridurre i costi della produzione; la scelta di una nuova ubicazione può essere motivata in vari modi; nella lista che segue ne citiamo alcuni: 

o Vicinanza al mercato di vendita; maggiore vicinanza della nuova ubicazione al mercato di destinazione dei prodotti; la vicinanza del luogo di produzione al luogo di vendita riduce notevolmente i costi di trasporto; 

o Costo del lavoro più basso; minore costo del lavoro nella nuova ubicazione dell'attività produttiva, indipendentemente dal mercato di destinazione dei prodotti. Ad esempio, appartiene a questa categoria la tendenza alla delocalizzazione delle attività produttive verso i paesi asiatici in cui il costo del lavoro è minore. 

 o Minore carico fiscale. Una impresa può decidere di evitare un carico fiscale elevato trasferendo l'attività produttiva in un'area a minore pressione fiscale o caratterizzata dal riconoscimento di agevolazioni fiscali (es. economie in via di sviluppo).

 Qualunque sia la motivazione particolare, ciò che spinge una impresa alla delocalizzazione è essenzialmente la massimizzazione del profitto e la minimizzazione dei costi. Entrambi questi elementi sono fattori determinanti della competitività di una impresa sul libero mercato e, pertanto, sono fondamentali per la sua stessa sopravvivenza. 

Delocalizzazione e occupazione 

La delocalizzazione non è soltanto un argomento di natura economica ma anche un argomento con forte valenza sociale e politica. Se da un lato la delocalizzazione aumenta la competitività dell'attività produttiva, dall'altro aumenta la disoccupazione del paese di origine. Ciò accade, in particolar modo, se i lavoratori fuoriusciti dalle attività produttive non sono reimpiegati in altre attività lavorative nell'economia locale. L'aumento della disoccupazione equivale ad un costo sociale a carico della collettività. 

Delocalizzazione e sfruttamento 

La delocalizzazione non va confusa con lo sfruttamento. Si parla di sfruttamento nel caso in cui la delocalizzazione sposta l'attività produttiva nei paesi in cui sono negati i diritti fondamentali dell'uomo (es. lavoro minorile, scarsa sicurezza dell'ambiente del lavoro ecc.). Il confine tra diritto alla minimizzazione dei costi e sfruttamento è soprattutto un argomento soggettivo. Da questo punto di vista la delocalizzazione è soprattutto un argomento appartenente all'universo della politica e del diritto.